La polizza vita “unit linked” può essere uno strumento che dà una “marcia” in più al rendimento di portafogli al netto della variabile fiscale. In questo primo articolo discuteremo dell’effetto “deferral” della tassazione e dell’ottimizzazione fiscale dei portafogli di fondi comuni d’investimento. In un prossimo intervento analizzeremo altri importanti vantaggi fiscali delle polizze vita.
Parte 1
Premessa: attività finanziarie detenute all’estero e private banking
All’indomani delle due edizioni della procedura di collaborazione volontaria di cui agli artt. 5-quater e 5-octies D.L. 167/90 (c.d. “voluntary disclosure”), non tutti i contribuenti che hanno regolarizzato i loro investimenti finanziari detenuti all’estero li hanno poi rimpatriati in Italia. Infatti, non sono pochi gli investitori che hanno preferito mantenere i loro dossier titoli presso gli intermediari esteri per svariati motivi (fiducia nel gestore, diversificazione geografica, interessi economici all’estero, etc.). Questa scelta ha due importanti conseguenze:
a) l’obbligo annuale di dichiarare nel quadro RW gli attivi rimasti all’estero; b) l’obbligo annuale di dichiarare i redditi finanziari imponibili in Italia ai fini delle imposte sui redditi.
Quest’ultimo fattore ha un’ovvia incidenza sui rendimenti “after tax” di questi portafogli. Il fattore “fiscale”, prima inesistente nei casi di investimenti detenuti in Paesi a fiscalità privilegiata (come Svizzera e Principato di Monaco), oggi diventa un’importantissima variabile da gestire per i portafogli oggetto di “disclosure” e che sono rimasti presso intermediari residenti in questi Paesi.
Infatti, a parità di composizione di portafogli, i rendimenti finanziari vengono inevitabilmente abbattuti dalla fiscalità italiana. Pertanto, i modelli di ottimizzazione degli investimenti relativi a questi asset, da oggi, dovranno incorporare necessariamente la variabile fiscale per fornire al cliente “private” italiano un risultato più efficiente.
Sintesi sulla tassazione dei redditi derivanti da polizze vita “unit linked”
I redditi compresi nei capitali corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita e di capitalizzazione (art. 44, comma 1, lett. g-quater TUIR), sono assoggettabili ad imposta sostitutiva del 26%, ai sensi dell’art. 3, comma 1 del decreto legge 24 aprile 2014, n. 66 (di seguito indicato come il “Decreto”) convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89.
Ai sensi dell’art. 45, comma 4 TUIR, “I capitali corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita e di capitalizzazione costituiscono reddito per la parte corrispondente alla differenza tra l’ammontare percepito e quello dei premi pagati”.
Da ultimo, si ricorda che sulla base delle disposizioni contenute nell’articolo 34, ultimo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601 nel testo vigente prima delle modifiche recate dall’articolo 1, comma 658 della legge di stabilità 2015, i capitali percepiti in caso di morte dell’assicurato dai beneficiari di contratti di assicurazione sulla vita erano del tutto esenti dall’imposta sul reddito delle persone fisiche. I commi 658 e 659 dell’articolo 1 della legge di stabilità 2015, modificando il citato quinto comma dell’articolo 34 del D.P.R. n. 601 del 1973, hanno limitato la predetta esenzione dall’imposta ai capitali erogati, in dipendenza di contratti assicurativi per caso morte, a copertura del rischio demografico percepiti dai beneficiari e non anche ai relativi rendimenti di natura finanziaria.
Primo vantaggio: la “deferral taxation”
I redditi inclusi nelle polizze vita sono tassabili esclusivamente in caso di riscatto/rimborso della polizza (“redditi compresi nei capitali corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita”). Di conseguenza, i redditi realizzati dal portafogli sottostante la polizza non sono tassabili al momento dell’incasso da parte della Compagnia, ma solo quando il contratto è riscattato/rimborsato. In altre parole, grazie alla polizza è possibile rinviare la tassazione rispetto al momento del realizzo del reddito del portafogli sottostante (deferral taxation). E’ da notare che deferral non significa solo rinvio della tassazione, ma significa anche maggior rendimento “after tax”. In economia esistono diversi modelli matematici per dimostrare che il differimento della tassazione dei “capital gain” portano ad un maggior rendimento atteso del portafoglio, in quanto diminuisce il valore attuale della tassazione. La teoria più semplice è la seguente: consideriamo un capital gain di un euro che matura alla fine dell’anno 1, che viene però tassato nell’anno “j”>1 (quindi, con un differimento di tassazione di j-1 anni). Se l’aliquota di tassazione è pari a “t”, e posto pari ad “r” il tasso di attualizzazione rilevante per l’investitore (ad esempio, un “risk free rate”), l’aliquota di tassazione effettiva attualizzata del portafogli “te” sarà pari a: te = t(1+r)-(j-1). Ovviamente, all’aumentare di j, cioè del periodo di differimento, te sarà minore di t. In altre parole, all’aumentare del periodo di differimento, diminuisce la tassazione effettiva e, quindi, il rendimento after tax del portafogli.
Secondo vantaggio: fondi comuni di investimento e altri Organismi Collettivi del Risparmio (OICR) di diritto italiano e di diritto estero c.d. “armonizzati”
Il comma 12 dell’articolo 3 del Decreto prevede che sui redditi di capitale di cui all’articolo 44, comma 1, lettera g), del TUIR, derivanti dalla partecipazione ad organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR), mobiliari ed immobiliari, l’aliquota del 26% si applica sui proventi di ogni tipo realizzati in sede di rimborso, cessione o liquidazione delle quote o azioni. Si sottolinea che i risultati negativi relativi a queste operazioni non sono compensabili con i redditi in questione, in quanto non rientrano tra i redditi di capitale ex art. 44, comma 1, lett. g) TUIR bensì tra i redditi diversi ex 67, comma 1, lett. c-ter TUIR (si veda al riguardo la Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 33/E del 15/07/2011). Pertanto, paradossalmente, redditi di uno stesso portafoglio derivanti da OICR non possono essere compensati con le perdite derivanti da altri OICR dello stesso portafoglio. Quindi, può accadere che, anche in presenza del valore negativo di un portafoglio composto da fondi (perché le perdite sono maggiori dei gain), ci sia ugualmente un prelievo fiscale in quanto, ai fini tributari, i gain non si compensano con le losses. Detto regime rende fiscalmente inefficienti i portafogli composti esclusivamente o prevalentemente da fondi. La polizza vita unit linked elimina questo inconveniente. Infatti il reddito della polizza è legato al valore della polizza stessa al momento del riscatto/rimborso e che viene percepito dal contribuente. Per cui, se il valore di riscatto/rimborso della polizza fosse legata al portafoglio di fondi descritto in precedenza, nessun reddito tassabile emergerebbe in capo al contraente/beneficiario in quanto il valore di detto portafoglio sarebbe in perdita. Di fatto, la polizza rende compensabili ai fini fiscali le plusvalenze con le minusvalenze da OICR.
1. Ai sensi dell’art. 10-ter della legge 23 marzo 1983, n. 77, sono gli OICR conformi alla Direttiva 2009/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 luglio 2009, il regime di tassazione previsto per i proventi derivanti dalla partecipazione ad OICVM conformi alla Direttiva anche ai proventi derivanti dalla partecipazione a OICVM di diritto estero non conformi alla predetta Direttiva purché assoggettati a forme di vigilanza prudenziale nei Paesi esteri nei quali sono istituiti, a condizione che gli stessi siano situati in Stati membri dell’Unione europea e negli Stati aderenti all’Accordo sullo spazio economico europeo inclusi nella lista di cui al decreto emanato ai sensi dell’articolo 168-bis del TUIR.
Parte 2
Imposta sulle successioni
Ai sensi dell’art. 12, co. 1, lett. c) del D.Lgs. 31 ottobre 1990 n. 346, “non concorrono a formare l’attivo ereditario … le indennità spettanti per diritto proprio agli eredi in forza di assicurazioni previdenziali obbligatorie o stipulate dal defunto”. Pertanto, come conseguenza, non si applica l’imposta di successione sui capitali erogati in “caso morte” agli eredi.
Beneficiari individuati nel testamento
Secondo la norma appena citata, l’esenzione da imposta spetta agli eredi su un capitale pervenuto come conseguenza del contratto di polizza vita (acquisizione “iure proprio”) e non come conseguenza dell’eredità (“iure hereditatis”).
Cosa succede se il beneficiario della polizza fosse nominato in un testamento e non nella polizza? Anche in questo caso si potrebbe applicare l’esenzione dall’imposta di successione, in quanto i capitali di polizza sarebbero pagati “iure proprio” e non “iure hereditatis”. Infatti, in questa fattispecie il testamento sarebbe lo strumento per nominare il beneficiario della polizza, non l’apertura di una successione mortis causa. Anche qualora il testamento non indicasse il nominativo del beneficiario, stabilendo invece che il capitale corrispondente alla polizza vita sia da pagare agli eredi del Contraente, il capitale causa morte sarebbe comunque da considerare pagato “iure proprio” (con applicazione dell’esenzione da imposta di successione). Invero, secondo la maggior parte degli autori e della giurisprudenza, se il titolare della polizza usa nel testamento la dicitura “erede”, ciò non significa necessariamente che egli intenda richiamare la legge successoria, ma significa che egli usa la definizione del codice civile di “erede” per indicare “per relationem” i beneficiari della polizza.
Pertanto, la nomina dei beneficiari effettuata in questo modo sarebbe comunque legata al contratto di polizza vita e non cambierebbe la caratteristica “iure proprio” dei pagamenti di capitale agli eredi (si veda, ad esempio, Cass. n. 1910/2015). Con riferimento alla determinazione delle quote del capitale di polizza spettante a ciascun erede, detta sentenza ha anche espresso il principio secondo il quale, in assenza di indicazioni nella polizza, la prestazione assicurativa dovrebbe essere liquidata secondo le proporzioni previste dal codice civile ovvero dal testamento nell’ambito della successione. La sentenza di Cassazione successiva n. 26606/2016, ha ribadito i principi della sentenza 1910/2015, ma senza confermare il criterio di determinazione delle quote secondo le regole successorie (aprendo, quindi, ad una determinazione delle quote del capitale spettante in parti eguali per ciascun erede).
Clausola del beneficiario “in bianco”
Cosa succede se i beneficiari non sono stati ancora nominati al momento del decesso dell’assicurato?
Alcune compagnie assicurative concedono la facoltà di nominare i beneficiari in una dichiarazione successiva alla stipula della polizza. Pertanto, in questo caso non è necessario nominare i beneficiari quando i contraenti firmano il contratto, per cui la clausola del beneficiario può essere “in bianco”. Cosa succede se l’assicurato muore prima che la clausola del beneficiario sia compilata?
Al riguardo, la dottrina sembra non essere univoca. Da un lato, alcuni autori1 sostengono che la mancata designazione del beneficiario significa che il diritto alla somma assicurativa deve essere incluso nel patrimonio dell’assicurato al momento della sua morte, a beneficio degli eredi secondo il diritto successorio (“iure hereditatis”). In questo caso, l’esenzione dall’imposta di successione non si applicherebbe. Al contrario, altri autori2 sostengono che la mancanza di una designazione esplicita deve essere interpretata come una designazione implicita degli eredi come beneficiari della polizza di assicurazione, che riceverebbero “iure proprio” il diritto alla somma assicurata. In questo caso si applicherebbe l’esenzione dall’imposta di successione.
A causa di tale incertezza, è consigliabile che il Contraente individui da subito i beneficiari e, qualora avesse esigenze di riservatezza, al limite potrebbe nominarli in un testamento anziché in polizza. In questo modo, come evidenziato sopra, l’esenzione dall’imposta di successione sarebbe comunque salvaguardata.
1. Scalfi, Manuale delle assicurazioni private, Milano, 1994, pag. 229; De Gregorio-Fanelli, Diritto delle assicurazioni, II, Il contratto di assicurazione, riveduto da La Torre, Milano, 1987, pag. 218; Stolfi, Note sul concetto di successione, in Riv. trim. di dir. e proc. civ., pag. 72; Donati, Trattato di diritto delle assicurazioni private, Milano, 1954, t.III, 602. 2. Volpe Putzolu, Il contratto di assicurazione quale strumento successorio, in Rescigno (a cura di), La trasmissione familiare della ricchezza: limiti e prospettive di riforma del sistema, Padova, 1995, pag. 2108; Buttaro, voce Assicurazione sulla vita, in Enc. dir., III, Milano, 1959, pag. 42.
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